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venerdì 6 giugno 2008

Il futuro del fotovoltaico nostrano

Entro pochi anni il fotovoltaico in Italia potrebbe raggiungere la competitività energetica con le altre fonti. Sarà questa la vera risposta alla ventilata stagione del nucleare.

Nel momento in cui anche in Italia si è riaperta la questione nucleare, occorre evitare che la controversia si riproponga più o meno negli stessi termini degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Allora si è combattuta un’autentica guerra di religione, come è noto conclusasi con la fuoriuscita dell’Italia dal nucleare senza però che questa scelta si traducesse nello sviluppo delle rinnovabili. Si può anzi affermare che, mentre ad esempio la Germania a partire dal 1991 varò normative che hanno sostenuto in modo continuativo ed efficace lo sviluppo delle nuove fonti rinnovabile (e il Giappone non è stato da meno), l’ultimo decennio del secolo scorso rappresentò per l’Italia un periodo di provvedimenti insufficienti e contradditori (si pensi alla legge 9/91 da cui è scaturito il CIP 6), inefficaci (come la legge 10/91), di continui stop and go (in realtà più stop che go). Insomma, un periodo sostanzialmente negativo per le rinnovabili, che ha contribuito non poco a ridimensionare e in qualche caso a distruggere quel tanto di presenza industriale che faticosamente il sistema Italia era riuscito a creare.Solo negli 2000 si è gradualmente messo a punto un quadro di riferimento normativo sufficientemente organico, i cui primi frutti si incominciano ora a vedere. Quadro di riferimento che attende di essere completato con il varo di un certo numero di decreti attuativi previsti dalle leggi 222/07 e 244/07, e, per quanto concerne la promozione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili per la produzione di calore e freddo, anche dal decreto legislativo 311/06.

Ciò che va garantito per il futuro delle rinnovabili è quindi innanzi tutto la stabilità del quadro di riferimento messo così faticosamente a punto, condizione che ovviamente comporta anche l’intangibilità dei criteri attraverso i quali si è deciso di finanziare il loro sviluppo. Una garanzia necessaria non ai fini di una difesa corporativa di posizioni acquisite, ma per salvaguardare le prospettive energetico- ambientali del nostro paese.

Non esistono infatti altre soluzioni in grado di consentire all’Italia di realizzare gli obiettivi in materia già fissati o in corso di definizione in sede europea. D’altra parte basta l’aritmetica elementare per rendersi conto che anche nell’improbabile ipotesi di un ritorno “soft” del nucleare in Italia, i tempi tecnici richiesti per la sua implementazione impedirebbero di ottenere un solo kWh da tale fonte entro il 2020. Va innanzi tutto ricostituita all’interno dell’APAT una struttura professionale in grado di valutare un impianto nucleare sotto il profilo della sicurezza e dell’impatto ambientale (almeno 3-4 anni per la selezione e il training del personale); tale struttura, una volta operativa, dovrà esaminare le singole proposte di realizzazione di impianti nucleari, compito che per la sua complessità non è esauribile in tempi contenuti (nella nuclearissima Francia ci vogliono due anni per licenziare un impianto); la costruzione e il commissioning dell’impianto, come dimostrano i dati statistici degli ultimi decenni e quanto si sta verificando sui due impianti in costruzione in Finlandia e in Francia, richiedono almeno otto anni. Nella migliore delle ipotesi a partire da oggi come minimo ci vogliono insomma 13-14 anni, sempre che si riesca parallelamente a risolvere problemini come l’identificazione di un sito idoneo allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi e la sua successiva realizzazione, e di siti tecnicamente e socialmente in grado di ospitare un impianto nucleare.

Per rispettare gli obblighi al 2020 assunti a livello europeo, la priorità va quindi assegnata al programma di sviluppo delle rinnovabili, così come è esposto nel position paper del governo italiano. Ad esso non può dunque mancare il necessario ossigeno normativo e finanziario. In altri termini, con riferimento alle recenti dichiarazioni di Enel e di Edison (il nucleare è in grado di produrre energia elettrica a costi inferiori dei cicli combinati a gas) va chiarito se le valutazioni di queste imprese includono nel computo anche voci come gli oneri per la gestione dei rifiuti radioattivi o il decommissioning. Se questi o altri costi fossero esclusi, a parte le riserve che è legittimo avere verso un’opzione tecnologica che dopo più di cinquanta anni dall’entrata in esercizio del primo impianto per reggersi ha ancora bisogno dell’intervento pubblico, dovrebbe essere subito chiarito a quanto ammontano le risorse necessarie per finanziare le attività non a carico delle imprese, e dove lo stato intende reperirle, fermo restando che esse non devono andare comunque a detrimento di quelle, prioritarie, da destinare allo sviluppo delle rinnovabili. Considerazioni analoghe valgono ovviamente per le attività di ricerca.

Perché una posizione come quella sin qui espressa sia credibile, va però data una risposta convincente anche alle ormai frequenti accuse alle rinnovabili di costare troppo. Uno dei più recenti interventi in tal senso, oltre tutto di grande impatto per l’autorevolezza dell’istituzione da cui proviene, è la relazione tenuta all’ultimo Solarexpo da Marco Pezzaglia, della Direzione Mercati dell’Autorità per l’energia. Obiezioni di questa natura e di questo peso non sono liquidabili con degli anatemi. Occorre invece serenamente e razionalmente confrontarsi non tanto con le conclusioni raggiunte da siffatti lavori, quanto con le ipotesi di lavoro assunte. Le analisi e i calcoli portati a supporto della tesi “le rinnovabili costano troppo” assumono infatti uno scenario “a bocce ferme”. Ipotizzano cioè che di qui al 2020 non ci siano riduzioni dei costo in nessuna delle tecnologie oggi incentivate. Il che non è: per motivi professionali ho potuto leggere le analisi di due importanti istituzioni finanziarie internazionali, volte a indicare ai clienti dove investire nel settore energetico. Ad esempio per paesi europei favoriti in termini di irraggiamento solare, come Spagna Italia Grecia, entrambe concordano nell’individuare appena dopo il 2010 la soglia di competitività per l’energia prodotta da installazioni fotovoltaiche integrate nell’edilizia rispetto a quella erogata dalla rete. Eppure si tratta della tecnologia oggi maggiormente lontana dalla competitività. Prospettive così favorevoli non possono però essere utilizzate per fare di ogni erba un fascio. I successi, quelli prevedibili o già in essere (si pensi all’eolico), obbligano semmai a un’analisi attenta e severa di quali sono le tecnologie in grado di raggiungere in tempi ragionevoli costi di mercato (inclusivi di quelli ambientali) e quali viceversa non presentano analoghe prospettive. Proprio per contrastare con efficacia la tesi delle rinnovabili troppo costose non si può infatti sfuggire all’esigenza di abbandonare la logica alla lunga perdente, secondo la quale “tutte le tecnologie per le rinnovabili sono uguali e vanno ugualmente difese”, a favore dell’orwelliano “alcune sono più uguali di altre”. Questo salto di qualità è realizzabile ricorrendo a un technology assessment per le fonti rinnovabili realizzato da un pool di esperti internazionali che, sulla base di parametri condivisi (fra cui in primis le potenzialità intrinseche di miglioramento delle singole tecnologie nei contesti per loro più appropriati), consenta di quantificare in modo convincente l’effettivo impegno finanziario richiesto nei prossimi anni, individuando per ciascuna tecnologia l’orizzonte temporale oltre il quale presumibilmente potrà camminare con l’unico ausilio delle proprie gambe. E, quando ritenuto necessario, ridimensionando eventuali opzioni che fossero state inserite fra quelle incentivabili in modo grossolano e affrettato.Insomma, per le nuove rinnovabili l’acquisizione della maturità tecnico-economica non può prescindere da un preventivo adeguamento paradigmatico da parte del mondo scientifico e imprenditoriale impegnato nello loro sviluppo, il quale deve convincersi che la partita delle rinnovabili non la si vince moltiplicando i no al nucleare, e alzando ogni volta di più la voce, ma se si è capaci di contrapporgli le soluzioni più credibili e di più agevole attuazione.

Fonte rinnovabili.it

"Roma per Kyoto" a Dublino

Moderne strategie per fronteggiare il cambiamento climatico

Si è tenuto a Dublino il seminario "Greenhouse gas emissions. The challenge for local government", per promuovere la diffusione dei risultati del progetto "RomaperKyoto" in partenariato con l'Irlanda, di cui la capitale italiana è capofila.


Il protocollo di Kyoto si traduce per i 163 paesi, tra cui il nostro, che lo hanno sottoscritto, in una lotta contro l’inquinamento e per il miglioramento dell’aria che respiriamo al fine di raggiungere una riduzione complessiva dei gas serra.

Il principale gas serra è l’anidride carbonica (Co2) (rilasciata nell’atmosfera soprattutto quando vengono bruciati rifiuti solidi, combustibili fossili, legno e derivati del legno) , che rappresenta l’85% del totale dei gas serra in Italia.

L’effetto serra è determinato dalla capacità dell’atmosfera di trattenere sotto forma di calore parte dell’energia solare e si verifica perché i gas serra immobilizzano il calore della superficie terrestre riscaldata. E’ dunque un fenomeno naturale, che permette al nostro pianeta di mantenere una temperatura media di 15°C contro i –19°C che si raggiungerebbero in assenza dei gas serra.

Tuttavia immissioni massicce di questi gas alterano il clima e sono dannose per l’ambiente, poiché provocano un aumento eccessivo della temperatura globale con cambiamenti devastanti per il nostro ecosistema.I principali gas serra da tenere d’occhio, sono l’anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto, in aggiunta al vapore acqueo, nonconsiderato tra le maggiori componenti in quanto, le emissioni originate da attività umane, sono estremamente piccole se paragonate a quelle enormi di origine naturale.

L’Italia ha firmato il protocollo di Kyoto il 30 maggio 2002 e la sua entrata in vigore è stata realizzata il 16 febbraio 2005. Intanto le cose sono peggiorate.Per contrastare tale dinamica, l’impegno costante dell'Amministrazione Comunale e dell’Assessorato all’Ambiente si è concentrato totalmente sull’avanzamento del progetto Roma per Kyoto.

"Romaperkyoto", ricorda l'assessore capitolino all'ambiente Fabio De Lillo, a Dublino in rappresentanza del Comune di Roma, è un progetto co-finanziato dalla Commissione Europea (Direzione Generale Ambiente) nell'ambito del programma Life sulla riduzione dell'inquinamento a livello locale.Roma per Kyoto andrà avanti fino al 30 settembre 2008, finanziato al 50% dalla Comunità europea, e per la restante parte dal Campidoglio e dai sei partner del progetto: Provincia di Roma, RomaNatura, RomaEnergia, Enea, Atac spa, Institute of Technology Tallaght, Ireland. Il totale dei finanziamenti ammonta a 2,3 milioni di Euro.

Finalità del progetto, per quanto riguarda Roma, è la stesura di un piano d'azione che consenta alla capitale di rispettare gli obiettivi del Protocollo di Kyoto.Si tratta di tagliare del 6,5% rispetto al 1990 le emissioni di gas serra, entro il 2012.In altri termini, circa un milione di tonnellate di CO2.

Il prossimo appuntamento, per condividere insieme alle altre 26 Capitali Europee i risultati conseguiti dal Progetto, è per il 18 e 19 settembre 2008.
Fonte edilizia2000.it

giovedì 5 giugno 2008

PUGLIA: VIA LIBERA IN COMMISSIONE A REGOLAMENTO IMPIANTI BIOMASSE

Bari, 4 giu - Le Commissione consiliari Industria e Tutela del territorio della Puglia, in seduta congiunta, hanno esaminato il regolamento per la realizzazione degli impianti di produzione di energia alimentata a biomasse, ed all'unanimita' hanno espresso parere favorele. Il regolamento, nel rispetto della disciplina nazionale, comunitaria ed internazionale vigente, e' finalizzato a promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di energia. Favorisce l'applicazione della recente normativa di riforma del sistema di incentivazione delle energie rinnovabili e nello specifico della produzione di energia elettrica dalle biomasse agricole locali, promuove lo sviluppo di impianti alimentati da biomasse in particolare di origine agricola e forestale prodotte localmente. Il provvedimento, inoltre, tende a velocizzare le procedure autorizzative per l'installazione di impianti di produzione di energia alimentati a biomasse e ad individuare gli indicatori di sostenibilita' agro-ambientale ed economica. I componenti delle commissioni si sono soffermati sui criteri per la localizzazione di impianti alimentati a biomassa e soprattutto sulla compatibilita' con gli strumenti di pianificazione generali e settoriali d'ambito regionale e locale, sull'utilizzo delle tecnologie disponibili, sull'adozione di sistemi di monitoraggio in continuo delle emissioni in atmosfera e sulla coerenza del piano di approvvigionamento rispetto alla localizzazione dell'impianto. In particolare, e' stato inserito il termine di sessanta giorni entro cui i comuni interessati devono esprimere il parere nacessario alla localizzazione dell'impianto. L'assessore regionale, Michele Losappio, ha fatto propri i rilievi presentati in commissione, riservandosi di esaminarli in sede tecnica e di apportare al testo le modifiche suggerite.

''Anche sulle biomasse - ha dichiarato Losappio - la Regione interviene con indirizzi regolamentativi, ponendo fine ad una situazione di ''fai da te' e favorendo lo sviluppo della filiera agricola corta''.

Fonte asca

EOLICO OFFSHORE. In Molise potrebbero essere utilizzati 292 chilometri quadri

CAMPOBASSO. Ci sono 11.686 chilometri quadri nei mari italiani per l'eolico offshore che potrebbero fornire nel 2020 2000MW. Secondo il documento presentato dal governo italiano al Parlamento europeo in Molise poterebbero essere utilizzati 292 chilometri quadri.

Nei prossimi cinque anni l'offshore italiano dovrebbe raggiungere 500 MW. Se i risultati della sperimentazione saranno positivi il progetto proseguira' istallando la prima turbina a due pale di 2,5 MW cui seguiranno altre 23.

mercoledì 4 giugno 2008

Sull’energia della Cina soffia forte il vento

Il boom dell’eolico in Cina è così forte e veloce da stravolgere tutti gli obiettivi governativi e costringe Pechino a fissarne altri, che potrebbero essere ancora troppo modesti. Nel 2007 gli impianti eolici installati in Cina avevano già superato i 5 gigawatt (GW), l’obiettivo che era stato fissato per il 2010 dal Piano economico della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (Cnsr) che per il 2020 prevede una potenza installata di 30 GW, una potenza che a questi ritmi verrà raggiunta già nel 2012.
A marzo la Cnsr ha rivisto i suoi obiettivi a medio termine, raddoppiando le previsioni da 5 a 10 MW per il 2010, ma è ancora solo la metà della potenza di 20 MW che si dovrebbero raggiungere in realtà o degli addirittura 100 che potrebbero essere installati entro il 2020.
Il vento ha cominciato a soffiare forte sulle turbine cinesi dal 2005, quando il governo comunista ha approvato la legge sull’energia rinnovabile, la capacità installata è aumentata del 60% nel 2005, per poi raddoppiare sia nel 2006 che nel 2007 quando aveva raggiunto i 6GW, portando la Cina al quinto posto nel mondo per l’eolico installato. Solo nel 2007 sono stati installati 3,3 GW, un trend simile a quello di Spagna ed Usa ed in rapido avvicinamento ai 20 GW installati della Germania ed ai 16 degli Usa, e una buona parte dei 94 GW di potenza eolica installati del mondo nello stesso anno.

Il boom dell’eolico cinese dimostra che una efficace e mirata politica di incentivazione pubblica è in grado di influenzare il mercato, anche uno come quello cinese, frutto di un miscuglio inestricabile di liberismo e dirigismo. La misura essenziale è stata quella della wind power pricing regulation, un meccanismo di offerta competitiva per determinare il costo dell’energia eolica, affiancata da gare di appalto insolitamente trasparenti e qualitative per gli standard cinesi, con l’esclusione delle offerte troppo basse che sarebbero di ostacolo allo sviluppo futuro dell’eolico in Cina.

Inoltre la Cnsr ha imposto che almeno il 70% dei componenti delle turbine eoliche debbano essere costruiti in Cina e messo in atto sofisticati sistemi di determinazione dei prezzi, incentivi fiscali e sovvenzioni che hanno favorito l’ingresso sul mercato dei produttori locali. La Cina è destinata a diventare nel 2015 il maggiore produttore mondiale di energia ed oggi è letteralmente soffocata dalla produzione di energia elettrica con il carbone (il 70% della produzione energetica nazionale) e dall’aumento del prezzo del petrolio e le regioni più ricche di vento, Mongolia interna, Gansu e Jiangsu, sono già pronte a raccogliere la sollecitazione del premier cinese Wen Jiabao ad installare impianti eolici per produrre almeno 10 GW. Già oggi l’energia eolica cinese è considerata più competitiva di quella prodotta con nucleare, gas, petrolio e si prevede possa competere con il carbone già nel 2015.

Ad esserne avvantaggiata non è solo la produzione di energia pulita e rinnovabile ma anche le industrie che producono turbine eoliche, che fino al 2005 erano piccole e che importavano quasi tutti i componenti dall’estero. Nel 2007 la capacità produttiva di turbine made in China ha superato i 3 GW che dovrebbe essere raddoppiata nel 2008 e raggiungere le 10 – 15 GW entro il 1012, facendo della Cina anche un grande esportatore di impianti eolici.

Secondo il rapporto “China´s Wind Power Installation Capacity Statistics, 2007”, della China Wind Energy Association, ad oggi il primo produttore di impianti eolici del Paese è proprio la cinese la Goldwind con il 25,4% del mercato, seguita dalla spagnola Gamesa (17,7%), dalla danese Vestas (14,5), la quarta è ancora cinese: la Sinovel con il 12,8, poi vengono General Electric (Usa, 8,3%), Dec (Cina, 4%), Suzlon (India, 3,7%), Nordex (Germania, 3,1%), NEG Micon (Usa, 2,6%) la joint venture CASC-Acciona (1,7%).

Fonte greenreport.it





Se il silicio sazia il mercato

La carenza di polysilicon che ha afflitto l'industria del fotovoltaico sembra ormai superata. Per gli analisti il problema che il settore dovrà affrontare sarà quello opposto: un eccesso di produzione di silicio che farà scendere i prezzi rosicchiando gli utili.
Negli anni scorsi è stata la carenza di polysilicon (silicio policristallino) a condizionare pesantemente il mercato del solare fotovoltaico: l’offerta non riusciva a soddisfare la domanda crescente, con il risultato di un aumento dei prezzi. Ma quello che nel settore è stato definito il “collo di bottiglia” del silicio pare essere definitivamente superato. Secondo molti analisti l’industria del fotovoltaico si troverà nei prossimi anni ad affrontare, invece, il problema opposto: un eccesso di produzione del materiale rispetto alla domanda, l’oversupply.

Sono oltre un centinaio nel mondo, infatti, le fabbriche di polyisilicon che nei prossimi due anni inizieranno a produrre (tra cui tre italiane, come annunciato al Solarexpo), il silicio immesso sul mercato dunque sarà molto più di quel che si era previsto. Da qui al 2012, secondo i dati presentati la settimana scorsa dall’ente di ricerca americano Prometheus Institute, la produzione quadruplicherà: si passerà dalle poco più di 30mila tonnellate del 2007 a oltre 120mila.
La capacità produttiva dell’industria fotovoltaica, secondo l'istituto, passerà dai 3,14 GW del 2007 a 12,36 nel 2010. Il problema per l’industria del fotovoltaico, come anticipato, è che la domanda - secondo le previsioni – non crescerà tanto quanto l’offerta: nel 2010 la produzione sarà dell’83% superiore alla richiesta. E i prezzi logicamente scenderanno di conseguenza.

I margini di guadagno, con i prezzi dei moduli più bassi e una domanda che aumenta meno, si ridurranno, mietendo vittime tra le industrie del settore e c’è già chi parla di bolla del fotovoltaico. A uscire vincenti dalla situazione che si creerà nei prossimi anni, spiegano gli analisti, saranno le aziende con costi di produzione più bassi, specialmente quelle che hanno investito su tecnologie che abbassano il costo per Watt installato, come i film sottili.
“Prevediamo che l’offerta di moduli solari superi la domanda nel 2009, portando a un calo dei prezzi e a ristrutturazioni delle aziende non preparate – soprattutto quelli che operano nel silicio policristallino e non hanno investito sulle nuove tecnologie del film sottile” spiegano dall’istituto di ricerca Lux Research che poco tempo fa ha fatto uscire il report “Solar State of the Market Q1 2008: The End of the Beginning”.

“Entro il 2010, - spiega Michael Lo Cascio, analista della Lux Research, riassumendo la situazione – il fotovoltaico con silicio cristallino sarà libero dalla carenza di polysilicon – ma sarà immediatamente colpito da un "uno-due": la domanda che cresce meno e l’incremento della competitività delle nuove tecnologie, in particolare il fotovoltaico a film sottile inorganico e il solare termico.” Il risultato?: “Gli utili derivati dal fotovoltaico cristallino dal 2010 inizieranno a ridursi di anno in anno per la prima volta nella storia – raffreddando gli entusiasmi degli investitori”.
Per i consumatori, invece, quello che per l’industria sarà un problema sarà un vantaggio: secondo il Prometheus Institute un modulo nel 2010 costerà in media il 42,8% in meno rispetto al 2007; i prezzi dei moduli “tradizionali” al silicio passeranno dai 3,66 dollari per Watt a 2,14, mentre i moduli fotovoltaici a film sottile da 2,96 dollari per Watt caleranno nei prossimi tre anni fino a 1,81.

Se l'analisi può essere verosimile, qualche dubbio nasce sui tempi, così ravvicinati, di questa inversione di rotta.

Fonte qualenergia.it

martedì 3 giugno 2008

La tedesca Bosch investe sul sole

Con prezzi del petrolio sempre piu' alle stelle, la tedesca Bosch rompe gli indugi e punta decisamente sull'energia solare, offrendo oltre un miliardo di euro per rilevare la connazionale Ersol.

Oggi il conglomerato di elettronica ha annunciato che per ogni azione Ersol offre 101 euro, un premio del 63% rispetto alla chiusura ufficiale di venerdi' scorso, e che e' gia' riuscita ad assicurarsi il controllo della maggioranza del capitale (50,1%) con 546 milioni di euro versati al gruppo di private equity Ventizz. Negli scambi di fine mattina a Francoforte il titolo Ersol si impenna del 63,14% a 100,90 euro. Si tratta della piu' grande acquisizione compiuta da Bosch negli ultimi cinque anni, rileva il Financial Times nell'edizione online, che nei giorni scorsi prevedeva l'inizio di una fase di consolidamenti nel settore dell'energia solare, mentre si profila un drastico calo dei prezzi delle cellule fotovoltaiche.


Finalmente la capacita' produttiva dovrebbe superare la domanda e secondo alcuni analisti nel 2010 il costo di ogni Watt prodotto con l'energia solare crollera' a 1,40 dollari, dai 3,80 attuali. Bosch ha fatto la sua mossa sul solare mentre finora altri giganti, come l'americana General Electric e la tedesca Siemens, hanno unicamente monitorato la situazione, senza sbilanciarsi con grandi operazioni. Rimangono comunque delle perplessita' sulle prospettive del settore e dei suoi costi. Se i prezzi del petrolio sono un forte incentivo per questa energia pulita al 100% - nelle scorse settimane il barile di oro nero ha oltrepassato i 135 dollari - un problema chiave e' legato all'incertezza sui sussidi statali per gli anni futuri.

I governi potrebbero decidere di ridurre i contributi e questo metterebbe a repentaglio i margini di redditivita'. Negli anni passati la produzione di cellule fotovoltaiche ha inoltre risentito delle difficolta' di approvvigionamento di silicone. Ad oggi la Germania e' il primo mercato mondiale per l'energia solare, rileva ancora l'Ft, con una domanda che copre quasi la meta' del totale, ma l'anno prossimo i sussidi statali dovrebbero essere ridotti del 7%.
Fonte rainews 24


G8 verso obiettivi di riduzione CO2, ma gli USA remano contro

Washington vuole che sia il gruppo dei “Major economies leader” a divenire sede decisionale in materia di emissioni e obblighi vincolanti.

La strada del G8 per l’individuazione di obiettivi di riduzione, per le emissioni effetto serra, continua ad essere in salita. Secondo quanto rivelato dall’agenzia Reuters, gli Stati Uniti presenteranno una bozza di dichiarazione in cui chiederanno che sia il gruppo dei “Major economies leader”, (chiamato anche gruppo dei “Maggiori produttori di emissioni”) a diventare il forum per queste decisioni, e non il G8. La riunione di questo gruppo, creato dal presidente Bush nel 2007, cui fanno affidamento gli USA si terrà ai margini del vertice G8. Ne fanno parte oltre agli Stati Uniti anche Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Sud Corea, Sudafrica e UK, insieme a UE e ONU. La richiesta di Washington è chiara: “Noi saremmo pronti a discutere di obiettivi a medio termine nel G8 solo se il gruppo delle Maggiori Economie non lo farà, e solo se si enfatizza la necessità di un’adesione delle maggiori economie emergenti”. Ma nella bozza non si fa alcun accenno né al taglio del 50% delle emissioni del 1990 entro il 2050, obiettivo informale che dovrebbe essere adottato al vertice di Hokkaido (7-9 luglio), né vengono fornite indicazioni per il medio termine. A questo va ad aggiungersi anche la notizia che Bush sarebbe intenzionato a mettere il veto a una legge, al momento all’esame del Congresso, che mira a ridurre le emissioni nazionali di gas serra del 66% entro il 2050. Sembra non aver sortito alcun effetto neanche la petizione firmata da 1.700 personaggi di spicco (tra cui sei premi Nobel, 30 membri della National Academy of Sciences e più di 100 membri del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e presentata al governo statunitense solo qualche giorno fa per chiedere di “mettere da subito la nazione su un percorso per ridurre dell’80% i livelli delle emissioni del 2000 entro il 2050”.

Fonte rinnovabili.it

lunedì 2 giugno 2008

PETROLIO: FRANCIA SCRIVE A COMMISSIONE UE PER RIDURRE IVA SU CARBURANTI

Roma, 2 giu - Il ministro delle finanze della Francia, Christine Lagarde, ha scritto alla Commissione europea e ai ministri dell'Ecofin sollecitando di ridurre con urgenza l'iva sui carburanti e utilizzare le riserve di petrolio pubbliche per proteggere il potere d'acquisto dei consumatori.

''Mi sembra necessaria un'azione a breve termine per proteggere il potere d'acquisto dei cittadini'' scrive il ministro Lagarde aggiungendo che le entrate fiscali per effetto del rialzo dei prezzi del petrolio potrebbero essere impiegate per proteggere i consumatori. ''Siamo entrati nell'era del caro-petrolio - aggiunge - e il primo obiettivo deve essere preparare le nostre economie ad adattarsi all'elevato prezzo del petrolio''. Il ministro francese scrive inoltre che l'accordo di Manchester del 2005 e' ancora in vigore (l'intesa prevedeva che le misure a breve termine, specialmente di natura fiscale, non sono appropriate per affrontare il caro-greggio) ma ''i cambiamenti strutturali richiedono tempo''

Fonte Ansa

domenica 1 giugno 2008

Petrolio: Usa; al lavoro solo 4 giorni contro caro-benzina

NEW YORK, 30 mag (AWP/ats/ansa) Una settimana lavorativa di 4 giorni per non far gravare troppo il caro-benizna sulle tasche dei cittadini. E' quanto stanno valutando alcuni Stati americani per cercare di andare incontro alle esigenze dei consumatori, stretti nella morsa dei carburanti, che hanno ormai quasi raggiunto il record storico di 4 dollari al gallone (circa 3,8 litri).

Mentre si cercano alternative per mettere al riparo i portafogli dei consumatori, l'agenzia americana per la regolamentazione delle materie prime (Cftc) rende pubblica un'indagine avviata lo scorso dicembre su un'eventuale manipolazione dei prezzi del petrolio sui mercati americani. La decisione di uscire allo scoperto solo ora, spiega la Cftc, è legata al fatto che "le condizioni sui mercati sono ora senza precedenti".

In Ohio, la Kent State University ha già proposto con successo la settimana lavorativa di quattro giorni: "Ci sono persone che per raggiungere l'ufficio percorrono cinque o sei miglia, altre che trascorrono in auto anche 45 minuti", ha detto Scott Rainone, portavoce dell'università, nell'illustrare la decisione di allungare l'orario giornaliero di lavoro a 10 ore, riducendo però la settimana a quattro giorni.

A Long Island è stato avviato un esperimento analogo che, si prevede, nei suoi 120 giorni di applicazione dovrebbe consentire di risparmiare 461 barili di petrolio. In Oklahoma è stata di recente approvata una risoluzione che spinge le agenzie statali ad aumentare la flessibilità e prevedere una settimana di 4 giorni.

In Georgia, molte scuole durante le vacanze estive già hanno provveduto a ridurre a quattro giorni la settimana dello staff amministrativo, l'unico a lavorare in quel periodo. Intanto la Cftc ha avviato "una vasta indagine a livello nazionale sulla pratiche riguardanti l'acquisizione, l'approvvigionamento e la vendita di petrolio" sui mercati americani, e ha annunciato nuove misure per "aumentare la trasparenza sui mercati petroliferi,affinché questi riflettano il rapporto fra domanda e offerta".

Il Nymex, la prima borsa statunitense dell'energia, si è dichiarata pronta ad aiutare la Cftc, pur ribadendo il proprio impegno di lunga data ad "assicurare l'integrità dei mercati".

Fonte AWP